La proroga del 09/03/2023 della VIA riguardante la richiesta di autorizzazione all’impianto NewO tra Bari e Modugno ha aumentato le preoccupazioni dei sindaci dell’Aro2 e dei comitati cittadini -tra cui Ambiente È Vita- che evidenziano i rischi dell’impianto.
L’impianto, di cui abbiamo parlato in altri articoli su questo blog, è stato progettato per bruciare i rifiuti solidi urbani in assenza di fiamma, producendo energia attraverso un processo di ossicombustione, ovvero pressione dell’aria. Il progetto è stato presentato come una soluzione innovativa per risolvere il problema dei rifiuti nella regione ed ha ottenuto il favore della sentenza del Consiglio di Stato a Luglio 2022.
Ambientalisti, attivisti e sindaci sostengono che i dati forniti dall’azienda non siano completamente trasparenti e ci sono preoccupazioni sulla salute dei residenti della zona circostante l’impianto, affermando che il sistema di filtraggio non sarebbe sufficiente a prevenire l’emissione di sostanze nocive nell’ambiente circostante.
Del rischio impianto NewO si è interessata anche l’Unione Europea sollecitata dall’interrogazione dell’europarlamentare Rosa D’Amato.
Le perplessità sulla tecnologia utilizzata
L’ossicombustione flameless, sperimentata in maniera discontinua da Itea a Gioia del Colle, è una tecnologia di cui licenziataria mondiale è la società Oxoco, di cui è amministratore delegato Antonio Di Biase, per tre anni direttore tecnico dell’Ager e, prima ancora, era direttore generale dell’Amiu.
L’ossicombustione non risolve in realtà il problema delle emissioni inquinanti, in quanto le ceneri prodotte contengono metalli pesanti e sostanze tossiche. La stessa Itea, in una sua brochure informativa riporta l’emissione nell’aria di 481µg/m3 di nanopolveri PM2,5 (particelle inferiori a 0,0025 mm) dannose per la salute umana e causa di tumori.
A proposito dell’impianto sperimentale Itea ti invitiamo a leggere l’approfondimento su Vglobale
La tracciabilità dei rifiuti speciali
Una delle principali preoccupazioni sui rischi dell’impianto riguarda la difficile tracciabilità dei rifiuti speciali da parte della NewO, con il pericolo che non arrivino da un ciclo pubblico. Come riportato nell’articolo di Chiara Spagnulo su Repubblica, dietro il codice europeo 191212 si cela un mare magnum di possibilità, comprendente “Altri rifiuti (compresi materiali misti) prodotti dal trattamento meccanico”, quindi sia urbani che speciali. Tuttavia, per questi ultimi è estremamente difficile assicurare la tracciabilità, come dimostrato dalle indagini condotte in diverse regioni d’Italia in passato. Questo aspetto è stato evidenziato anche dai sindaci dell’Aro2 che hanno diffidato la Regione a rivalutare l’origine dei materiali da incenerire.
Inoltre, nella Valutazione di Impatto Ambientale rilasciata nel 2018, si specificava che “i rifiuti ammessi al trattamento dovranno essere esclusivamente originati dal ciclo urbano“, ma non è chiaro se questo vincolo sarà rispettato. Anche Puglia Sviluppo, nella dichiarazione di ammissibilità al finanziamento pubblico da 10 milioni, aveva evidenziato che la NewO avesse dichiarato che “il principale fornitore sarà Amiu Puglia” e che “dalla descrizione del business plan, l’iniziativa appare orientata esclusivamente ai rifiuti solidi urbani”. Tuttavia, come sottolineato dai sindaci, di tutti questi particolari non c’è traccia nella documentazione in possesso della Regione e dei Comuni, il che alimenta dubbi e preoccupazioni sui reali flussi di rifiuti che giungeranno all’impianto.
La questione dei rifiuti importati
È evidente che la NewO intenda ricorrere alla pratica dell’importazione di rifiuti da altre regioni d’Italia e da altri paesi europei per rendere economicamente sostenibile l’impianto. I residenti della zona sostengono che ciò aumenti i rischi per la salute e l’ambiente. Inoltre, l’importazione di rifiuti potrebbe avere un impatto negativo sull’economia locale, in quanto potrebbe impedire lo sviluppo di soluzioni di gestione dei rifiuti più sostenibili a livello regionale.
La perla delle “perle vetrose”
Le perle vetrose sono piccoli oggetti di forma sferica, realizzati in vetro colorato e trasparente usate come gioielli e ornamenti in Egitto e in Mesopotamia.
Ma questo succedeva migliaia di anni fa. Oggi perla vetrosa è il nome evocativo assegnato allo scarto risultato del processo di ossidocombustione dei rifiuti che Newo vuole vendere come materia prima seconda end-of-waste che chiuderebbe il ciclo dei rifiuti.
Ma vendere a chi? Non si sa…
Rischia di essere l’ennesimo prodotto contaminante di un processo industriale. Qualcuno lo ha definito il nuovo amianto.
L’ARPA ha sollevato dubbi sulla composizione di queste perle, affermando che potrebbero contenere elementi nocivi per la salute e l’ambiente. I comitati stessi denunciano una mancanza di trasparenza sul processo di vitrificazione.
Il dibattito sul trattamento dei rifiuti
Infine, c’è anche il rischio che l’incenerimento dei rifiuti possa incoraggiare comportamenti poco sostenibili nei confronti dei rifiuti. Sebbene l’incenerimento dei rifiuti possa sembrare una soluzione facile e veloce al problema dei rifiuti, in realtà è solo un modo per nascondere il problema invece di affrontarlo alla radice.
La questione del problema rifiuti è sempre quella: la soluzione non è l’incenerimento o altri impianti di trattamento dai mirabolanti risultati e nemmeno le discariche come Fer.Live. La verità è che ne dobbiamo produrre meno. Molto meno.
È meglio prevenire i rifiuti che gestirli.
Paulo Adario, noto ambientalista brasiliano
Invece di bruciare o sotterrare i rifiuti, sarebbe meglio adottare politiche di diminuzione della produzione e di riciclaggio più efficaci, in modo da ridurre il volume dei rifiuti.
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