Dopo anni di silenzio sulla discarica Ecoambiente di via Torre d’Agera, nella zona artigianale di Bitonto, ecco che da Palazzo Gentile giungono importanti novità. A comunicarle è stato, qualche giorno fa, l’assessore all’Ambiente Giuseppe Santoruvo, che ha anticipato sulla propria pagina Facebook l’affidamento dell’intera area alla ditta Trivelsonda srl di Squinzano. Dovrà effettuare indagini geofisiche, geognostiche e analisi di laboratorio finalizzate a verificare la presenza di sostanze inquinanti nelle falde acquifere.
È l’ultimo capitolo, per il momento, di una vicenda che iniziò quasi 40 anni fa. Per capire meglio la questione, infatti, è utile tornare indietro nel tempo, spulciando gli archivi delle testate giornalistiche. Andiamo, al luglio 1987, quando Franco Amendolagine, sulle pagine della Gazzetta del Mezzogiorno, scriveva di una «discarica controllata» che «avrà una capacità di assorbimento di circa 22mila tonnellate l’anno».
L’area, dall’estensione di 34.112 metri quadri, fu scelta perché «considerata ottimale anche nella possibile ipotesi che altri abitati limitrofi come Molfetta, Giovinazzo, Terlizzi e Santo Spirito possano essere interessati al conferimento dei propri rifiuti solidi urbani nella cava, in quanto raggiungibile direttamente senza attraversare centri abitati».
L’Amsv (Azienda Municipalizzata Servizi Vari), tramite appalto/concorso, affidò alla ditta locale Ecoambiente srl la realizzazione.
La discarica, nelle intenzioni dei proponenti, avrebbe offerto alla città un servizio moderno ed efficiente, risolvendo un’importante urgenza ecologico-ambientale: lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani provenienti dal territorio del Comune di Bitonto. Fu la prima ad essere attivata in provincia di Bari e tra le prime in Puglia.
L’attivazione avvenne in tempi molto rapidi, all’incirca sei mesi, e il 1° settembre dell’87 era già in funzione.
Ma non da tutti la notizia fu accolta con entusiasmo
Perché, nel frattempo, una nuova sensibilità al tema dei rifiuti si diffondeva nell’opinione pubblica e la necessità di superare le tradizionali modalità di smaltimento dei rifiuti era sempre più avvertita. Scriveva così Lello Parise sempre sulla Gazzetta, il 27 agosto 1988: «Cosa succederà quando anche questo “buco” sarà colmo? Il Comune crede di aver risolto il problema dei rifiuti da smaltire. Invece, ha solo rinviato nel tempo la soluzione. Perché prima o poi dovrà trovare altre discariche. È come il cane che si morde la cosa. […] Di qui l’esigenza di accelerare la “politica del recupero”».
Il giornalista denunciava la mancata programmazione, accusando non solo i comuni di Bari e di Bitonto, ma anche la Regione Puglia, di considerare l’immondizia «come qualcosa di cui disfarsi al più presto».
La seconda discarica
Il redattore della Gazzetta non ebbe torto. Solo qualche anno dopo, nel 1991, quella che doveva essere la soluzione al problema dello smaltimento dei rifiuti era diventata una discarica dallo spazio in esaurimento «utilizzata già da troppo tempo, tanto che le tonnellate quotidiane di rifiuti l’hanno riempita al punto che non c’è quasi più posto: tra cinque mesi al massimo non sarà più utilizzabile».
A scrivere, questa volta, fu Nicola Fragrassi, sulla Gazzetta del 6 aprile 1991, interrogandosi su dove sarebbe stata smaltita, in futuro, la “monnezza” di Bitonto. Interrogativo che già da tempo si stavano ponendo gli amministratori, alle prese con la scadenza, nel novembre 1990, della convenzione con la Ecoambiente. E così, di fronte al timore di chiedere ospitalità ad altri comuni, ipotesi che «di questi tempi non è affatto consigliabile», secondo il sindaco Michele Coletti, si propose non solo di rinnovare la convenzione, ma anche di individuare il sito per una nuova discarica da 350 tonnellate al giorno. Sito che venne individuato sempre in contrada Torre d’Agera, che fu ritenuta adatta anche per una seconda cava.
La Ecoambiente vinse per la seconda volta, contro due concorrenti, le imprese Persia e Mazzitelli, con proposte ritenute vantaggiose, come evidenziò Coletti: «Innanzitutto il costo è inesistente e poi la ditta ci viene incontro realizzando, oltre alla nuova discarica, anche una per i rifiuti inerti e per quelli destinati alla rottamazione. Ma non basta: la convenzione prevede anche la pulizia del nostro territorio dal materiale derivante dai lavori in edilizia».
L’opposizione degli ambientalisti
Ma, questa volta, insorsero gli ambientalisti del circolo Mendes della Lega per l’Ambiente, con una nota a firma di Gaetano Lauta, Nicola Colapinto e Silvio Vacca: «Quella cava è vicina al centro abitato, all’autostrada, alla provinciale per Giovinazzo, alla nostra attuale discarica. Per non parlare, poi, della possibilità, non tanto remota, di inquinamento dei campi che circondano la zona. E scusate se è poco. Alla fine, saremo sommersi dai rifiuti».
La convenzione, comunque, si fece nonostante le obiezioni ambientaliste, e l’amministrazione Coletti riuscì, in questo modo, a non aumentare la tassa comunale sullo smaltimento dell’immondizia.
Ma la battaglia tra favorevoli e contrari continuò nella massima assise comunale. Giungiamo, quindi, al 20 dicembre 1991, data della seduta del consiglio comunale dedicata al tema. Un passaggio nel massimo consesso cittadino necessario in mancanza di un piano regionale delle discariche, per determinare localizzazione e rilascio della concessione edilizia.
All’ordine del giorno c’era il “Progetto di discarica controllata di prima categoria per rifiuti solidi urbani e di seconda categoria per rifiuti inerti in agro di Bitonto, località Torre d’Agera – Parere sulla localizzazione”.
La giunta puntava verso l’approvazione, basandosi su valutazioni tecniche, prima ancora che politiche. Valutazioni positive, espresse dal Comitato Tecnico Provinciale e dalle autorità sanitarie che sancivano la compatibilità dell’area con una nuova discarica. E sottolineando la mancanza di particolari vincoli urbanistici nel Prg.
La posizione dell’amministrazione comunale
A motivare l’orientamento dell’amministrazione Coletti, l’assessore all’Urbanistica Nicola Pice:
«Il progetto si avvale di una relazione espressa in termini di approvazione favorevole del progetto da parte del servizio di igiene pubblica, controfirmata dal capo servizio dottor Pignataro, il quale dice espressamente che il progetto risponde accuratamente alle prescrizioni dell’art.10 del Dpr 915 e della deliberazione del comitato interministeriale del 27 luglio 1984, nonché ai vari problemi di igiene, sicurezza».
Si sottolineava, inoltre, la distanza di 4 km dall’abitato di Bitonto e di 200 km dalla provinciale Bitonto – Giovinazzo e dall’autostrada A14 e la quasi totale assenza di residenze stabilmente occupate: «Quanto al rilievo e alla idrografia, l’analisi evidenzia che sono assenti segni di idrografia superficiale ed uniche forme riscontrabili sono solo alcuni solchi erosivi del tipo lame».
Si evidenziava come l’area avesse un traffico molto limitato e fosse già abbastanza frequentata da autobotti adibite allo spurgo di pozzi neri. Senza contare del fatto che la zona era già abbastanza degradata dagli sversamenti in discariche abusive di liquami e fanghi dall’origine ignota. Fenomeno di cui si stava già occupando la magistratura e la stampa (ne parlò la Gazzetta del Mezzogiorno il 18 gennaio 1990).
Quindi, da parte dell’assessore Pice, l’invito a non farsi prendere dalla sindrome Nimby (acronimo di “Not in my backyard”), «che preferisce lo smaltimento dei rifiuti sempre nel giardino dei vicini» e non nella propria area.
Il vicesindaco Giovanni Procacci sostenne l’assenza di soluzioni alternative, vista l’inesistenza di un piano regionale. Favorevole anche il consigliere socialista Nicola Tarantino che, annunciando il voto favorevole, auspicò tuttavia altre soluzioni per superare l’emergenza continua e per evitare di arrivare «nel 2005, 2010, 2030 e ogni 5 anni ad affrontare il problema».
A portare avanti la causa ambientalista furono Pds e Verdi. Acceso fu lo scontro che vide contrapposti i consiglieri del Pds Giuseppe Parisi, Vito Antonio Delvino, Nicola Loragno, Angelo Domenico Colasanto, il verde Marco Vacca e gli altri consiglieri di opposizione, alla maggioranza composta da socialisti e democristiani.
La minoranza denunciava i pericoli ambientali connessi all’ubicazione della discarica, sita ad una distanza che, considerando l’intera estensione, era nettamente inferiore a quella dichiarata dai proponenti. Si paventava il rischio di “bomba ecologica” (Vito Antonio Delvino, Pds) e si temeva che la città diventasse una “pattumiera della Puglia” (Giuseppe Parisi, Pds). Mentre il consigliere dei Verdi Vacca espresse dissenso per una localizzazione imposta dall’alto dalla Provincia di Bari.
Al momento della votazione, dei 40 consiglieri comunali, i presenti erano 27. I voti favorevoli furono 21 e vennero dal sindaco Coletti e dai consiglieri di Partito Socialista (Francesco Natilla, Francesco Matera, Francesco Dimundo, Nicola Tarantino, Raffaele Gasparre, Gennaro Sicolo, Salvatore Zanga, Antonio Sblendorio, Domenico Rinaldi, Saverio Granieri, Domenico Depalo e Vincenzo Monte) e Democrazia Cristiana (Giovanni Procacci, Nicola Pice, Cosimo Coviello, Gaetano Brattoli, Vincenzo Gesualdo, Francesco Paolo Palermo, Gaetano Frascella, Giovanni Toscano, Michele Muschitiello), le forze di governo. Sei, invece, quelli contrari provenienti da Partito dei Democratici di Sinistra (Giuseppe Rossiello, Nicola Loragno, Nicola Antuofermo, Vito Antonio Delvino, Giuseppe Parisi) e Verdi (Marco Vacca). Assenti i consiglieri di Pri (Gaetano Granieri) e Psdi (Vincenzo Fiore e Lorenzo Iuso).
Il tempo ha dato ragione agli ambientalisti
Passano gli anni, la discarica entrò in funzione e, con il tempo, le preoccupazioni degli scettici si rivelarono più che fondate. Già nel 2008, la discarica fu sottoposta a sequestro dai carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico, perché la falda acquifera era gravemente inquinata. Nel marzo 2009 la procura della Repubblica ne revocò l’uso chiedendo iniziative celeri per il ripristino ambientale dell’area. Ripristino mai avvenuto. Nonostante relazioni e sopralluoghi dell’Agenzia Regionale Protezione Ambientale (Arpa) e dall’Università di Bari, abbiano stabilito la perdita di percolato. Oltre alla presenza nelle acque sottostanti di ferro, manganese, arsenico, nichel, cromo esavalente e vanadio. Sostanze potenzialmente cancerogene.
«Si invita il sindaco del Comune di Bitonto (ruolo, nel frattempo, andato a Raffaele Valla, ndr) a valutare se occorra adottare misure per la salvaguardia della salute, vietando il prelievo di acqua dai pozzi» fu l’invito del pm Bretone, rivolto anche ai presidenti di Regione e Provincia, ai sindaci di Bari e Modugno, al manager della Ausl e all’imprenditore Matarrese, proprietario della Ecoambiente: «La falda risulta già gravemente inquinata, per cui occorre procedere al più presto all’adozione delle misure volte alla prevenzione e al ripristino ambientale».
«La notizia non arriva inattesa – commentò Valla, che emanò una disposizione d’urgenza per la chiusura di tutti i pozzi di Torre d’Agera – perché la costante ricognizione delle falde della zona della discarica, già avviata dalla passata amministrazione (Nicola Pice, ndr) è sempre stata alla nostra attenzione. I nostri uffici hanno sollecitato più volte l’Arpa per realizzare tutti gli accertamenti tecnici del caso».
«L’impianto è in regola, ma sono disposto a chiuderlo» fu la risposta data da Salvatore Matarrese alla Gazzetta del Mezzogiorno il 5 marzo 2009.
Arrivano finalmente finanziamenti per verifiche ambientali
Passano 9 anni senza ulteriori notizie di rilievo. Nel 2018, seconda giunta di Michele Abbaticchio, Palazzo Gentile riesce ad ottenere un finanziamento regionale di 370mila euro per effettuare il Piano di caratterizzazione ambientale. Piano utile, tra le altre cose, a verificare l’esistenza di inquinanti nel suolo, sottosuolo e acque sotterranee nonché l’estensione volumetrica dell’inquinamento.
Torniamo dunque al giorno d’oggi. Alla notizia annunciata dall’assessore Santoruvo. Dopo tre tentativi andati a vuoto, l’intera area della discarica è stata consegnata alla Trivelsonda srl. La ditta effettuerà indagini geofisiche, geognostiche e analisi di laboratorio utili alla eventuale bonifica, nel caso di inquinamento della falda. Indagini che dovrebbero durare almeno quattro mesi.